domenica 14 maggio 2006

iL tEmPo PaSsA...

Tra una settimana il primo esame del semestre. Due giorni dopo il secondo.E via discorrendo, fino al 21 giugno.
Assenza di tempo, angoscia e voglia di dormire. Come si conciliano male questi tre modi di sentire nel corpo di una persona.
i miei rimedi omeopatici sono 5 tazzè di caffè al giorno e una compressa di guranà immancabile dopo i pasti(non me ne vorrai, vero?)
se dovessi quantificare la tensione, conterei i mozziconi di sigarette che tacciono dentro il portacenere.
non sono a casa mia, (ho più una casa?) e dal terrazzo di casa sua guardo le case. Le nove di sera. ancora 6 ore di lavoro, quattro se sono fortunata (perchè è dalla foprtuna ormai che dipende il mio livello di concentrazione). a volte le righe scompaiono sotto gli occhi, e come su uno schermo montato dentro la retina osservo le figure dei miei incubi che prendono forma.
Buffa la forma degli incubi di chi sta preparando un esame(parlo per chi, come me, è abituato a questa preversione dell'inconscio).
C'è chi sogna di non svegliarsi in tempo e saltare l'appello; chi immagina di nuotare per ore e tuttavia non vedere alcuna riva all'orizzonte; chi ancora sogna di aver già sopstenuto la prova, e si gode tranquillo il sogno che però con una sorta di sadico clima lo porta a svegliarsi nella più totale disperazione, svanita l'illusione di poter dormire tranquillo fino a mezzogiorno; chi apre gli occhi prima della sveglia perchè il suo orologio biologico anticipa l'angoscia del tempo, e conta mentalmente i secondi che lo separano dall'odioso trillo che preannuncia un'altra fastidiosa lotta contro le ore.
Io sogno bare. Di ogni tipo e dimensione, vuote. Mi sveglio madida a intervalli regolari di tre , quattro ore, sicchè il sonno non è meno grave della veglia. L'unico rimedio è studiare, finchè gli occhi reggono, forzandoli ancora un pò per piombare nel letto e pregare di dormire.
Se solo riuscissi a chiuderli e dormire e dimenticare.
Mi manca la mia famiglia. E quest'esilio volontario eppur coatto, che a volte diviene una prigione, mi fa avvertire ancora di più il bisogno che le voci siano bocche da guardare, e occhi che parlano, e mani che enfatizzano, e non un sibilo metallico dentro un filo.
Tutto questo finirà, mi dico.
Spengo la sigaretta con forza, muovendo l'ennesimo filtro spento su e giù nella cenre con gesti concentrici, come per cancellare qualcosa.
"ce la devo fare, ce la devo fare".
la sigaretta ormai spenta giace insieme alle mille compagne, e io continuo a ripetere queste quattro parole a mezza voce, sussurrandole a nessuno in particolare.

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