mercoledì 27 luglio 2011

ISTRUZIONI PER SCENDERE LE SCALE

Le scale non si salgono, si scendono.

Siamo già al sommo grado della catena evolutiva, quale altro paradiso possiamo cercare se non quello in cui siamo? Il gioco è a somma zero, ed è questo il corollario alla dissertazione che non seguirà. Perché da noi, ripeto, le scale si scendono.

Si comincia col domandarsi di che colore sarà la carta che estrarremo dal ventaglio possibile del cervello, già che tra noi e le scale ci sono determinati gradi di separazione, soprattutto se si opta per l'eretica soluzione della discesa: occorre valutare le vertigini, il senso del vuoto, della sconfitta irrimediabile, degli Inferi, la finta resistenza delle viscere, avide di ambigui finali, le paure ancestrali da chierichetti, le notti con la mano pronta sull'interruttore, e poi, per una serie infinita, valutare minuziosamente la suola delle proprie scarpe, la dimensione dello scalino, la fattura del pavimento (sul pavimento?), l'orario dei vicini, il grado di pulizia, il numero dei granelli di polvere per il tempo impiegato ad attraversare la distanza media tra noi e l'uscita (sempre che ve ne sia. ma chi scende le scale, questo lo presuppone, altrimenti starebbe a casa sua).

Cullati da questi pensieri, gli scalini si sono già portati avanti, invisibili mani ci hanno avviluppato le caviglie e dolcemente le guidano, una dopo l'altra, verso il basso, ogni volta un gradino in meno. Incuranti della discesa, ci abbandoniamo al rimestio delle specie, delle coincidenze, dell'intonaco circostante, delle voci dietro gli usci e i profumi di ragù della domenica, qualche musica lontana, sicché la porta, il fine, della cui esistenza ci eravamo dimenticati (le scale si scendono ma non all'infinito, ndr)è sempre più vicino che ora è questo, e non altro a spaventarci.

- In fondo un paio di gradini in più fanno bene al cuore...

Si rallenta quindi la discesa a partire dal terzultimo gradino, alcuni almanaccano scuse (è mai possibile, ho portato le chiavi con me?) ma riescono a guadagnare la porta, maledicendosi, altri escono di corsa, con la loro faccia sconfitta, i più fortunati si fermano a metà senza sapere dove proseguire. Nell'attesa accennano un passo di danza e il rumore dei tacchi sul granito o sul marmo è uguale a quello confessato da Ivonne Guitry al protagonista di un libro il cui autore, a sua volta, pensava contrariamente a chi scrive che ci doveva pur essere una qualche prassi nel salirle, le maledette scale.