lunedì 31 ottobre 2011

Algun Lugar Encontraré (feat Andrés Calamaro).

Estoy cansado de buscar, algún lugar encontraré
Estoy malherido, estuve sin saber que hacer
En algún lugar.... Te espero...
Estoy cansado de esperar, pero igual no tengo adonde ir
Ayer la tormenta, casi me rompe el corazón
Pero igual... Te quiero...
En algún lugar...
El tiempo y la distancia ya no existen para mi
Lo dejé todo, aunque todo lo recuerdo muy bien
Y a fuerza de partir, voy a saber lo que es volver
Y volver, uh! Volver
Un ángel me vino a buscar, pero igual no lo voy a seguir
Me dice la gente que deje de pensar así
Pero igual...Te espero...
En algún lugar...Te espero
Perdi la nocion del tiempo y el lugar
No sé ni donde tengo la nariz
Será que las cosas, no vuelven al mismo lugar
Pero igual...Te espero
En algún lugar...Te espero

sabato 17 settembre 2011

R.I.P.

Padre mio,
con la letteratura ti ho portato
verso il mondo di coloro che non tornano.

Com'è stato il proseguo del tuo viaggio?
Avrai incontrato già d'Ercole le alte colonne,
e un traghettatore stanco, barbuto al pari tuo,
avrà saggiato la bontà della moneta.

Con chi - dimmi - con chi dialoghi?
Quale vecchia conoscenza, quale abisso
nel tuo iride d'olivo, per noi bianco?

Sono nuvole o fiamme l'orizzonte,
o una lunga e bianca stanza
dove l'eterna attesa sono i giorni?

Dietro di te, una pioggia d'interrogativi
si distende, tra quelli che hai lasciato,
inconsapevolmente,
a luce spenta.

O forse siamo noi dentro l'epigrafe
"Riposa in Pace", e non ce ne accorgiamo.

sabato 10 settembre 2011

LEGAMI


Avviene la mattina che se ti guardi sull'acqua
ti svegli diverso.
E tuttavia rimane un privilegio.

Ora è tutto uguale, persino il verso.
Quando avevo vent'anni era lo stesso,
vero Maestro?
"Allora, però, con la speranza di essere tutto,anche farfalla
e merlo, per sortilegio."

Quanto tempo è trascorso, mio cavaliere errante,
cavalcando onde e giornate, insieme,
un nodo e un altro come progressione
di sinapsi impazzite (forse addolorate)
o come la biblioteca in cui ieri, mi è parso di perdermi,
insieme a mio padre e mio fratello,
a discorrere di paradossi con Zenone.

Chissà quale tartaruga mi ha staccato,
quel giorno, appena prima del traguardo,
perchè io possa perseguire per sempre
un istante ormai passato.

Che queste corde possano trattenerci,
vivi, uniti, insieme.
Per sempre?

A intervalli regolari
cigolan le vele,
ormai ammainate.

sabato 13 agosto 2011

SUL TACCUINO

DILUENTE

La letteratura
potrebbe salvarci,
se solo sapessimo prenderla
e goderne
quale prostituta francese
in reconditi amplessi sur le Seine.

Apro bene le narici e scopro il petto
affinché le lingue degli altri
possano in me trovare nido e cibo.

Mutante di personaggi a me alieni,
si presta la mente scorrendo le righe,
e il mondo di fuori si scolora,
lasciando il posto a un altro quando.

Probabilmente, -disse così il prolifico regista-
oggi sono fuori fuoco. Meglio per gli altri.
verso la Corsica, 2 Agosto
******
DONNE

C'erano un tempo donne per cui davvero
valeva la pena.

Erano quelle dei cavalieri erranti
contro le fiere di boschi immaginari,
quelle dei naufragi senza ritorno,
già raggiunti dall'onda,
era l'angoscia di Ulisse, Jacopo o Werther.

La storia deve aver subito un'inversione.

Dopo cuori, vite, vascelli e popolazioni,
tutto ciò che dietro di loro e per loro si muove,
è il passo stanco d'uomini insulsi,
eroi del quotidiano-quieto-vivere, da esse stesse
generati, per un'innaturale involuzione.

Poi però si piange col cavallo bianco da pellicola,
e si agogna il manto azzurro ad ogni sguardo,
agitando le palpebre e i seni. L'altro non vede.





mercoledì 27 luglio 2011

ISTRUZIONI PER SCENDERE LE SCALE

Le scale non si salgono, si scendono.

Siamo già al sommo grado della catena evolutiva, quale altro paradiso possiamo cercare se non quello in cui siamo? Il gioco è a somma zero, ed è questo il corollario alla dissertazione che non seguirà. Perché da noi, ripeto, le scale si scendono.

Si comincia col domandarsi di che colore sarà la carta che estrarremo dal ventaglio possibile del cervello, già che tra noi e le scale ci sono determinati gradi di separazione, soprattutto se si opta per l'eretica soluzione della discesa: occorre valutare le vertigini, il senso del vuoto, della sconfitta irrimediabile, degli Inferi, la finta resistenza delle viscere, avide di ambigui finali, le paure ancestrali da chierichetti, le notti con la mano pronta sull'interruttore, e poi, per una serie infinita, valutare minuziosamente la suola delle proprie scarpe, la dimensione dello scalino, la fattura del pavimento (sul pavimento?), l'orario dei vicini, il grado di pulizia, il numero dei granelli di polvere per il tempo impiegato ad attraversare la distanza media tra noi e l'uscita (sempre che ve ne sia. ma chi scende le scale, questo lo presuppone, altrimenti starebbe a casa sua).

Cullati da questi pensieri, gli scalini si sono già portati avanti, invisibili mani ci hanno avviluppato le caviglie e dolcemente le guidano, una dopo l'altra, verso il basso, ogni volta un gradino in meno. Incuranti della discesa, ci abbandoniamo al rimestio delle specie, delle coincidenze, dell'intonaco circostante, delle voci dietro gli usci e i profumi di ragù della domenica, qualche musica lontana, sicché la porta, il fine, della cui esistenza ci eravamo dimenticati (le scale si scendono ma non all'infinito, ndr)è sempre più vicino che ora è questo, e non altro a spaventarci.

- In fondo un paio di gradini in più fanno bene al cuore...

Si rallenta quindi la discesa a partire dal terzultimo gradino, alcuni almanaccano scuse (è mai possibile, ho portato le chiavi con me?) ma riescono a guadagnare la porta, maledicendosi, altri escono di corsa, con la loro faccia sconfitta, i più fortunati si fermano a metà senza sapere dove proseguire. Nell'attesa accennano un passo di danza e il rumore dei tacchi sul granito o sul marmo è uguale a quello confessato da Ivonne Guitry al protagonista di un libro il cui autore, a sua volta, pensava contrariamente a chi scrive che ci doveva pur essere una qualche prassi nel salirle, le maledette scale.

mercoledì 16 febbraio 2011

gioia di vivere

è ciò che manca.
nelle frasi disfatte,
che non suonano a castigliano
né ad argentino
e la sveglia è puntata alle sette,
puntuale come un colpo di pistola.
Per renderti conto che rimproveri negli altri
la tua più grande pecca,
di accettare le cose come un automa,
mentre gli altri macinano le loro vite,
e le spremono, e le vivono,
molto più di come pensi di vivere la tua.
Nel sogno, nell'irrazionale ricerca del contrario
- bisogna contraddistinguersi in ogni caso,
nel bene o nel male-
senza l'angoscia di nessun primato
o per puro ciondolare.
E' l'abitudine o il tempo,
a renderti il can che abbaiaia e non morde,
a stimolarti l'ansia
di assomigliare a qualsiasi altro
pur di addormentarti in tempo
e col sonno leggero
- le ore, si sa, sono poche e malate,
come questo discorso-
oppure è forse il volere
-più di ogni altra cosa-
il voler disconoscere
ogni volta chi si è, cosa si è fatto,
con chi e perché.
Forse una poltrona,
e un etichetta, potrebbero risolvere
l'endemica questione.
Eppure accetti, e non accetti,
e nell'incertidumbre, che degli altri è la pena,
tu trovi finalmente pace,
e il punto interrogativo è coperta e padre,
ad addormentarti l'anima,
stanca della pena e della noncuranza.


* * *
Abbracciami padre,
perché nello scontro,
troverò finalmente conforto.

domenica 2 gennaio 2011

FILASTROCCA DELLA NOTTE DI NATALE

Todo este amor,
Que presumis esparcer
por la gente del mundo,
donde se termina y donde empieza?
La respuesta yace
en los fragmentos de tu ser,
Como migas de un mantel
sacudido por limpieza.