venerdì 11 dicembre 2009

TORNARE.

Tornare, o partire.
Tornare a scrivere, o lasciare. Sará questo poi, l'ultimo post ed il primo dopo un anno che non tocco la mia carta digitale. non mi mancava, ma forse sí.
Nel frattempo, vieppiú supporti si sono contaminati della mia calligrafia. tra questi, pacchetti di sigarette, carte, fazzoletti, pezzetti di legno e d'anima, e un quaderno meraviglioso, regalo d'un nuovo e forse unico (ecco che torna il termine, "non è l' amore che (ri)torna ma quello che finalmente nasce) Amore.

Tornare dunque. Assodato il prologo dovuto e dovente sul perchè il mio luogo é rimasto orfano "por tanto tiempo", torniamo al tema del tornare. O iniziamolo, per salvare la schizofrenia della prosa.




Sto abbandondando un luogo e sto tornando o sto partendo verso un luogo nuovo.
é questo che mi chiedo nelle pagine larghe della vita, e in quelle strette dei passi che misurano i marciapiedi le ultime volte eppure lo fanno con la stessa naturalezza di un nativo del posto che sa che non lascerá mai su "hogar".

La bipolaritá mi sorride, mentre scrivendo in italiano sorseggio mate, finalmente una mia "matera", - io, che adesso non ne ho bisogno!- il mio tavolo pieno di pezzetti di ricordi in forma d'oggetti e alluminio, e mi chiedo, mi prefiguro, mi immagino, mi vedo, poi sorrido, poi caccio improvvisamente un grido.
"brindo por el futuro con la noche de testigo" cantano los rodriguez nella macchina intelligente, e in realtá è vero. non spaventa tornare, il tornare ora e' quasi agognato, ma il contesto, il contesto ci spaventa. Un pensiero nello zibaldone tra il lavoro e le frasi d'autore, mi ha scosso.

Ho avuto paura, paura del mondo etichetta, Milano, di cui contribuisco a caricare lo stereotipo forse perchè cosí la vedo talmente piccola e alla mano che quasi non fa piú paura, o forse perchè categorizzare i luoghi ti aiuta ad adattarti ad essi con la migliore strategia, prima di viverli.

Ma a te, ho mai catalogato Madrid? Il tuo nome è cosí un grido di gioia che per pronunciarlo devi allargare gli angoli della bocca... come sei semanticamente allegra, cittá mai vissuta eppure, eppure buona con me!
Ti ho bistrattato, preferito, guardato con sufficienza, preteso di conoscere, poi disconosciuta, e tu eri lá. Con i tuoi negozi e i tuoi bar de tapas, con la tua bislacca calle montera dove un micromondo si muove in armonia con tutto il resto senza per questo invadere o molestare l'altrui fluire degli eventi.

Terra di nessuno, terra compagna d'ore felici (e anche le tristi, suonavano ovattate, coperte dagli Hola y Adiós dei vicini nel patio), ti lascio e con te lascio tutto ció di cui sei degna capitale.
Mi perdonerai se dimentico qualche ricordo nel cammino, la mia valigia è soggetta a tariffa e giá le gambe poco sostengono il peso di piú di diecimila giorni di ricordi in castellano.
Mi servirá il tuo sorriso, quando guarderó negli occhi di chi mi guarda e non capisce, nelle facce dell'invidia o della noncuranza (quale della due piú frequente non lo so, giá che le due sono gemelle monovulari.) per cercare tra i mille sguardi quelli sinceri, e riconoscerli, e farli miei.
Mi servirá la tua capacitá di tollerare, per tutti i momenti in cui mi accecherá un'ira diversamente interpretata, e risucchieró parole e lacrime dentro gli occhi del cavallo di guernica.
La mia disperazione saranno i molli orologi di Dalí, il mio andare obliquo.
La mia natura sará il non avere angoli, come insegna il buon Gaudí.
L'intero Parque del Retiro in un giorno di sole sará la mia energia, la scioglievolezza del verso,
el idioma.
In me ti porto, per affrontare il mondo di fuori.

Ce n'è uno ancora piú piccolo, di mondo, del quale non si puó parlare perché non ci sono parole abbastanza alte per descrivere il sublime. Ma questa è un'altra storia, che abbiamo raccontato da un'altra parte. Un giorno, qualcuno la leggerá. E il resto, è ancora tutto da scrivere.


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