Ci dev'essere qualcosa,
nel modo in cui le persone dormono,
come la chiave di volta per entrare nei loro mondi,
il decifratorio dei codici di ogni letto e anima,
la tripartizione mescolata da Freud,
e ogni altro vicolo cieco che la vita ci preclude.
Mi piacerebbe penetrare in quei sonni,
in quei silenzi sfilacciati o umidi,
in quel rantolare sommesso,
e strappare in tempo un frasario breve,
quindici o venti formule, non di più,
da utilizzare all'uopo o a caso,
assicurandomi di non sbagliare.
Se potessimo leggere di ciascuno
i vasti geroglifici dell'inconscio,
per farci un'idea senza domande,
senza fare male lasciando impronte,
come sarebbe il nostro risveglio?
Più conscio, meno sicuro?
Sicuro di noi stessi, meno degli altri, o viceversa?
Sarebbe un caffè tra le lenzuola differente,
orfano di occhi socchiusi a carpire cose che non vogliamo,
o che in fondo cerchiamo per poterci dire che non c'era bisogno.
Sarebbe l'agghiacciante lucidità di sapere
che non siamo stati sognati, o forse sì,
o che sogni simili evolvevano in maniera complementare,
mentre la nostra tentazione alla vita interiore scompare
lasciando dietro di sè un mucchio di specchi rotti,
e un ciarpame in cui è meglio per noi non rovistare.